L’ANTIBIOTICO RESISTENZA NELLE VACCCHE DA LATTE

Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 11/9/2015 delle “Linee guida sull’uso prudente degli antimicrobici in medicina veterinaria” (2015/C 299/04) inizia una nuova stagione nella zootecnia atta a ridurre l’impiego dei principi medicamentosi per evitare/scongiurare il fenomeno dell’antibiotico resistenza.
L’Italia è al terzo posto nella classifica europea di consumi di principi medicamentosi ed il 60% del proprio consumo è in zootecnia.
L’utilizzo elevato di antibiotici in zootecnia crea ceppi di batteri resistenti ai normali antibiotici; ciò avviene per via diretta ed indiretta.
Per via diretta, attraverso la formazione di nuovi ceppi di batteri resistenti nell’ambito della specie ma che diventano intra specie. Indirettamente, attraverso scambi di plasmidi (pezzi di DNA o RNA) con la formazione di ceppi resistenti.
Il primo caso è spaventoso: si tratta di una vera e propria zoonosi. Negli U.S.A. la popolazione maggiormente soggetta all’antibiotico resistenza è quella a cui appartengono i lavoratori nel settore zootecnico…
La riduzione imposta per il nostro Paese è del 30% rispetto all’attuale utilizzo dei farmaci. La riduzione è auspicabile per quei farmaci denominati “salvavita”, vale a dire colistina, chinoloni e cefalosporine di terza e quarta generazione, macrolidi.
L’introduzione della ricetta elettronica imporrà giocoforza una riduzione dei trattamenti. Sarà necessario un antibiogramma seguito ad un esame clinico effettuato dal medico veterinario sugli animali al fine di escludere una terapia di massa continuativa nelle fasi critiche di allevamento per non cadere in un utilizzo improprio del farmaco. Il controllo del numero e della frequenza delle prescrizioni veterinarie di un determinato allevamento saranno sotto diretto controllo dell’ASL di competenza. Sarà una vera e propria farmacovigilanza!
Le fasi critiche di allevamento sono riscontrabili, nelle bovine da latte, alla messa in asciutta; per polli e suini, nelle prime fasi di allevamento delle due specie.
Nelle vacche da latte è prassi comune trattare indistintamente tutti gli animali con antibiotico alla messa in asciutta. Ciò non sarà più possibile.
Si propongono diverse soluzioni.
La prima – sperimentata anche in Lombardia sotto la guida del Prof. Zecconi della facoltà di Veterinaria dell’Università degli Studi di Milano – propone di trattare con antibiotico solo le bovine primipare che hanno un contenuto in cellule somatiche all’ultimo controllo prima della messa in asciutta maggiore di 100 mila. Per le pluripare, si tratteranno quelle con un valore all’ultimo controllo maggiore di 200 mila. Questo porta ad una riduzione di almeno il 25 – 30% delle vacche trattate.
Anche l’osservazione del linear score delle cellule somatiche aiuta ad identificare l’andamento dell’infiammazione delle bovine e scegliere di conseguenza quale bovina trattare.
Al momento del parto ricordo che le bovine che presentano un contenuto di cellule somatiche maggiore di 250 mila sono soggette a mastiti sub-cliniche.
Possibilità di effettuare il conteggio cellulare differenziale mediante la tecnologia Foss. Questa è in grado di separare i tre componenti della formula leucocitaria: linfociti, monociti e polimorfonucleati (PMN). Solo gli ultimi sono i responsabili dell’infiammazione a carico della cellula mammaria. L’infiammazione, oltre a far produrre meno latte, riduce il contenuto in caseina sia direttamente, facendola produrre di meno in mammella, sia attraverso enzimi prodotti dai PMN che distruggono la B caseina.
Un altro accorgimento è rappresentato dalla scelta dei tori in grado di resistere alle mastiti cliniche e sub-cliniche.
In generale, occorre prestare massima attenzione alle razioni delle bovine alla messa in asciutta e nelle prime fasi della lattazione.
L’utilizzo di una miscela di estratti vegetali ad azione antinfiammatoria ed antipiretica, come il CS 1000, riduce i rischi di infiammazione nei momenti critici rappresentati dalla messa in asciutta e nel post parto.

Dott. Cesare Tartarini